Mitreo di Vulci
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tipologia:
Mitreo -
quota:
68m -
anno:
120 -
epoca:
Imperiale
Mitreo di Vulci
Il piccolo ambiente ha l'aspetto di una sala di culto, ma nelle guide non se ne trova menzione.
A pochi passi, tuttavia, si apre un importante mitreo, molto ben conservato, che testimonia il ben radicato culto rivolto al dio mazdaico nella società romana, prima del sopravvento del Cristianesimo. Come tanti altri ambienti similari, la sala mitraica si presenta come un rettangolo molto allungato, affiancato ai due lati da strutture in pietra, che fungono da sedili, e nelle quali si aprono alcune nicchie incorniciate da preziosi archi bicromi. Se le contiamo, sono sette come il numero dei gradi di iniziazione del culto di Mitra. All'inizio della sala, in corrispondenza dell'ingresso, troviamo due grandi nicchie rettangolari, diverse per forma e dimensioni da tutte le altre.
Esse, probabilmente, erano destinate ad accogliere le statue dei due Dadofori, Cautes e Cautopates. Di esse, tuttavia, non è rimasta traccia. A circa metà sala le due file di archetti circolari sono interrotte da due particolari nicchie, una di forma ad archetto semicircolare, sulla destra, e l'altra quadrata, sulla sinistra. Per analogia con altri mitrei visitati, si può supporre che la prima, la quale presenta sul fondo una cavità, contenesse dell'acqua mentre nell'altra venisse posta una lucerna o comunque qualcosa di ardente, a simboleggiare l'elemento del fuoco.
L'elemento più importante, invece, era addossato sulla parete di fondo, dietro l'altare: una statua rappresentante il dio Mitra ripreso nell'atto di uccidere il toro, la classica tauroctonia. La statua venne ritrovata durante gli scavi insieme ad una copia più piccola, quasi integralmente conservata a parte la testa del dio che è andata perduta. La statua originaria è stata rimossa dal sito, ed è oggi conservata nel Museo Archeologico Nazionale dell'Abbadia [1]. Quella che, invece, troviamo all'interno del mitreo è una copia fedele realizzata dallo scultore Carlo Brignola. Mitra viene rappresentato con il mantello spianato come una tavola, sorretto da un immaginario vento, mentre sta per infilare il coltello sacrificale nella gola del toro. La coda dell'animale è tramutata in spighe di grano e alla base, sotto le sue zampe, si trovano i tre animali che solitamente completano la scena: uno scorpione, un serpente ed un cane. La scultura risalirebbe alla prima metà del III secolo d.C., epoca alla quale, di conseguenza, apparterrebbe anche il Mitreo. Gli scavi archeologici hanno anche posto in evidenza i segni di una probabile distruzione violenta del sito, forse una conseguenza dell'editto di Teodosio del 380 d.C. che, stabilendo definitivamente il Cristianesimo come religione di Stato, di fatto aboliva e vietava ogni altra forma di culto. Fu così che i Cristiani, una volta avuto il sopravvento, si trasformarono da perseguitati a persecutori, bollando ogni altro culto come "pagano", reprimendo le altre forme religiose concorrenti e sovrapponendo il proprio calendario di festività a quelle preesistenti, mutandone il nome, e sostituendo a dei ed eroi dei culti precedenti i propri santi e martiri. Molti dei resti delle suppellettili trovate nel corso degli scavi archeologici nell'area vulcense, si trovano oggi conservati all'interno del Museo dell'Abbadia, realizzato in un'ala del castello risalente al XIII sec., che sorge non troppo distante. È interessante notare che questo castello appartenne probabilmente e per almeno un secolo ai Cavalieri Templari, che stabilirono così un controllo nella zona.